Figli di una società coll'ascensore bloccato

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Ogni tanto mi capita di pensare, magari mentre ascolto qualcosa di giusto,  che nonostante tutto, nella sfiga, sia stata parecchio fortunata, sicuramente più fortunata, sotto certi [limitati] aspetti, dell’attuale generazione, così frastornata da meritarsi la nomea di generazione cogli ascensori bloccati.

Poi ci ripenso meglio e faccio sinceramente fatica a focalizzare la consistenza di queste presunte fortune, che probabilmente non esistono nemmeno. La storia industriale italiana (e non) ha avuto i suoi bei momenti di luce ed ombre, a rotazione dai padri ai figli, ci siamo passati tutti, nel corso dei decenni sono solo mutati gli obiettivi e le ambizioni, ad esempio l’aspirazione massima per mio padre è stata la 600 comprata a rate, per me la golf nera e un numero imprecisato di valvole.

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Forse la mia fortuna, come pure quella di chi mi ha preceduto, è consistita nell’avere chiari punti di riferimento e nel poter guardare con maggiori certezze alla serietà del loro lavoro oltre all’indubbia onestà intellettuale. Si credo che sia questo in fondo ad aver contribuito a rafforzare in me talune convinzioni e a fare la differenza oggi. Attualmente la gente non è che abbia proprio chiaro cosa fa, cosa pensa e sopratutto chi vota e per quali motivi, e non è una questione generazionale, non ci credete? Leggete qua ;-))

Ho cominciato a lavorare in una città accartocciata su se stessa, in uno dei momenti genovesi più bui, col porto agonizzante e  travolta dalla crisi industriale, mentre le aziende facevano a gara per mettere in cassintegrazione, mobilità o addirittura prepensionare i lavoratori più esperti. Bisognava prendere quello che arrivava e farselo pure piacere e devo ammettere che quella è stata una grande palestra di vita. Il passaggio dalla scuola alla grande industria mi è stato, per così dire, agevolato dai consigli e le frequentazioni di allora.
Fu così che mi ritrovai immersa in letture di cui non avrei sospettato l’esistenza, tra cui  L’enciclopedia dei diritti dei lavoratori di Smuraglia (vabbè diciamo la bibbia và) ovviamente unita allo Statuto e La cultura della Cgil, di cui vedete l’immagine scannerizzata, anzi come potete osservare è un libro vissuto, perchè l’ho letto e riletto svariate volte, all’interno le pagine sono ingiallite e un po’ macchiate, e la copertina, nonostante una tardiva copertura, non si è salvata dalle ditate.

Citare una delle tante opere di Vittorio Foa nel giorno dedicato al suo ricordo, mi pare il modo migliore per commemorarlo, per illudermi (forse) che la sua vita così ricca ed appagante non sia trascorsa invano. La biografia di quest’uomo, arrivato all’età di 98 anni, è la testimonianza di quanto è successo in Italia nell’ultimo secolo e non è solo un’ovvia questione temporale, perché lui protagonista lo è stato per davvero.

Al compimento del suo sessantesimo anno di età, durante il congresso d’Ariccia comunicò le sue dimissioni dagli incarichi sindacali, motivando la sua scelta all’età e a ragioni di salute. In realtà aveva troppo rispetto per quel ruolo da segretario generale della Cgil, e avvertendone in pieno il peso sociale, che prima di lui aveva ricoperto Di Vittorio, già suo maestro, preferì lasciare il posto a Luciano Lama, perché aveva già intravisto i segni del logorio dato da una vita condotta in prima fila, sempre da protagonista,  era il 1970.

Eppure non abbandonò mai troppo a lungo la vita politico-sindacale del nostro Paese, diventando di fatto un vero punto di riferimento, intramezzando i suoi interventi con anni d’insegnamento e la pubblicazione di libri. Uno dei maggiori pregi che universalmente gli viene riconosciuto è la libertà interiore, quella stessa libertà che gli impose le dimissioni da deputato per dedicarsi a tempo pieno come segretario Generale della Cgil quando subentrò a Di Vittorio.
Negli ultimi anni ha seguito con interesse i movimenti della sinistra, nella foto sotto è alla manifestazione dei girotondini del 2002, prima che scomparissero… sob!

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Invece qua sotto è alla manifestazione del Primo Maggio a Milano. Tutto questo per rimarcare, ove ce ne fosse bisogno, che nonostante la grande vitalità delle sue posizioni politiche, non ha mai perso le linee guida e la coerenza del suo pensiero. La sua attenta conoscenza, nell’ambito sindacale, è partita dai braccianti dell’immediato dopoguerra, fino ad approdare ai precari dei giorni nostri denunciando, in tempi non sospetti e tenendosi ben al di sopra di qualunque moda, tutti i rischi nei quali stava sprofondando il mondo del lavoro in generale, le nuove generazioni (tra cui quella del titolo) e il suo sindacato in particolare. Aveva una vista lunga Vittorio.

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Mesi fa alla tv, inciampai  in una sua intervista, ovviamente in piena notte ;-)), nel corso della quale ricordò i passaggi importanti della sua inquieta vita , i lunghi anni nelle carceri fasciste, deputato alla Costituente, parlamentare per tre legislature, nel Partito d’Azione e poi nel Partito socialista, fondatore del Psiup nel ’64, segretario nazionale della Fiom, docente di Storia contemporanea nelle Università di Modena e Torino negli anni Settanta, senatore Pds nel ’91. In quella stessa intervista, oltre a ripercorrere la sua vita pubblica, si espose nel delicato disegno di quella privata, l’incontro con la prima (straordinaria) moglie,  quella tal Lisetta citata in Lessico familiare di Natalia Ginzburg, tanto per focalizzarci :-)); i tre figli (avrete notato tra le tante firme della carta stampata un certo Renzo Foa, no?), il secondo matrimonio a 95 anni, dopo ventisei anni di convivenza e, tanto per avere un’idea ancora più chiara del tipo di personaggio, indovinate? Scelse di sposarsi il 2 Gugno, una data in piena coerenza con tutto il resto della sua vita.

In questi giorni ci sono state svariate commemorazioni, e la nostra camera dei deputati, per qualche attimo mi ha fatto rabbrividire per l’ipocrita rappresentazione che da di se stessa. Certo avrei preferito che al posto di un Fini o un Buttiglione, a cui Foa non ha mai lesinato aspre critiche e contrapposizioni, fosse chiamata una persona della medesima levatura morale, con gli stessi ideali civili, chessò, un Ciampi, per capirci.

Io mi sono tenuta per buone le parole dei suoi amici di sempre, quelli per cui era un compagno, un amico ed un maestro. Vorrei chiudere con un pensiero, di quelli che piacerebbero al maestro Foa, dicendo alla generazione a cui fa riferimento il titolo, di non abbattersi e e sopratutto di non abbandonarsi a facili quanto inutili nichilismi, perché forse sarà pur vero che il loro ascensore si è bloccato, ma il nostro, di Jurassica memoria, ci ha condotto speditamente verso l’inferno di quellolì. Quindi coraggio, la loro non è la condizione migliore, è vero, ma in giro ci sta (parecchio) di peggio 😉

piesse

Forse farà piacere un ultimo piccolo aggiornamento

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